giovedì 28 novembre 2019

LE NUOVE RELAZIONI FAMILIARI NELL'ERA DEL DIGITALE. DI FRANCESCO BELLETTI

Nel corso degli ultimi decenni si è realizzata una profonda rivoluzione antropologica. Le tecnologie della comunicazione digitale trasformano le relazioni fra le persone, mediandole sempre più con vere e proprie protesi tecnologiche, e con ciò facilitano i cambiamenti di identità e di comportamento (verso il cyborg?). Questa rivoluzione tecnologica, investendo gli individui, influisce necessariamente anche su ciò che designiamo come famiglia. Il concetto di famiglia, e tutti i suoi simboli (la coppia, le relazioni generazionali, le identità sessuali), diventano le prime cavie di un crescente disorientamento/entropia culturale. Nella famiglia di oggi il calore delle relazioni corporee, faccia-a-faccia, si mescola sempre più con le comunicazioni che avvengono con lo smartphone o attraverso Internet. Questo processo si sta sviluppando con un tumultuosa rapidità, che rende estremamente complesso l’adattamento all’innovazione da parte della generalità delle persone.
Non è la prima volta, nella storia dell’umanità, che avvengono rivoluzioni tecnologiche che stravolgono la vita quotidiana, l’organizzazione sociale ed economica, lo stesso assetto politico di intere regioni del globo. […] Nei secoli scorsi la penetrazione di queste innovazioni è stata lenta, graduale, e permetteva un progressivo adattamento, “di generazione in generazione”, consentendo alle persone di “imparare la novità”, all’interno dei tradizionali processi di formazione al lavoro, ai valori, agli stili di vita, che avevano nella trasmissione intergenerazionale e nella valorizzazione dell’esperienza un punto di forza irrinunciabile, in famiglia, nei laboratori artigiani, nei luoghi preposti alla formazione.
La rivoluzione digitale ha dato invece una velocità di cambiamento mai riscontrata prima, cambiando i tempi e le modalità di interazione sociale, le regole nelle relazioni interpersonali, le fonti di apprendimento (e di arricchimento!), le sfide per la politica.
Quindi oggi dobbiamo affrontare una rivoluzione, quella digitale, che ha due speciali caratteristiche che la rendono una sfida particolarmente complessa e nuova:
-               la rapidità del cambiamento, anzi, dei cambiamenti, che oggi sono tutt’altro che conclusi,
-              e la potenza con cui il digitale può modificare – e di fatto ha già modificato – la vita quotidiana di ogni persona, e la qualità stessa delle relazioni interpersonali, ad ogni livello, dagli affetti primari (relazioni affettive, famiglia, amici) fine alle relazioni più sociali, con le istituzioni (non solo avere certificati a casa propria, ma anche poter addirittura “votare on line” per le elezioni politiche).


Le sfide del digitale per le relazioni familiari
Si tratta quindi di una rivoluzione che investe la famiglia in modo diretto,  potente, senza vie di fuga, ed è proprio questo il motivo che spiega il titolo del Nuovo Rapporto Cisf 2017: “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”, che si pone una domanda semplice ma decisiva: “le tecnologie digitali di comunicazione rafforzano o indeboliscono le famiglie?”
Per rispondere a questo interrogativo è stata realizzata un’approfondita indagine empirica (3.708 interviste su un campione statisticamente rappresentativo delle famiglie italiane).

Le famiglie “ibride”: tra relazioni faccia-a-faccia e connessioni digitali
Dal Rapporto Cisf 2017 emergono profonde differenziazioni tra le famiglie italiane, e una complessiva tendenza a mescolare i contatti diretti, faccia-a-faccia, lo stare insieme, con relazioni e connessioni allacciate tramite i vari media e strumenti digitali, in quello che potremmo definire un processo di “ibridazione delle relazioni familiari”. Sembra quindi superata la dualistica contrapposizione tra “mondo reale” e “virtuale”, e occorre invece comprendere quella che è una vera e propria nuova “realtà delle relazioni familiari”, ormai inestricabilmente mescolate di relazioni corporee, fisicamente tangibili in precise dimensioni di spazi e di tempi condivisi, e di connessioni e relazioni digitali. In particolare sono emersi quattro distinti livelli di progressiva mescolanza-ibridazione:
1) famiglie marginali e/o escluse (il 28,6% del campione);
2) famiglie  mature moderatamente in rete (13,4%):
3) famiglie più giovani decisamente in rete (23,8%):
4) single giovani e coppie di giovani (gli “ibridati” veri e propri, 34,2%).


Questo processo non appare necessariamente negativo. La famiglia “ibridata” non è né buona né cattiva; anzi, dai dati dell’indagine emerge che l’ibridazione delle relazioni interpersonali con la rete sembra avere più effetti positivi che negativi a riguardo di quasi tutti gli indicatori della coesione familiare, e in parte anche rispetto alla partecipazione civica nella sfera pubblica. D’altro canto questa ibridazione propone una forma diversa di relazionalità, che non sempre rafforza i legami tra i membri della famiglia. In effetti essere costantemente connessi non sempre significa “essere in relazione”. Non serve quindi schierarsi nell’ennesimo scontro tra tradizionalisti e innovatori, o tra apocalittici ed integrati, quanto piuttosto riconoscere le potenzialità, leggere le diverse traiettorie dei diversi gruppi sociali e delle diverse famiglie, e discernere con attenzione rischi e possibilità.

 La sfida educativa del digitale in famiglia
Anche le strategie educative nei confronti dei figli sono molto differenziate, e tratteggiano una responsabilità genitoriale molto eclettica e flessibile, che naviga a vista, e di volta in volta può orientarsi al concedere ampi spazi di libertà, oppure supervisionare con discrezione, tentando di porre qualche limite. Gli interventi limitativi però sono meno frequenti, probabilmente a causa di modelli educativi genitoriali più permissivi, e insieme perché i genitori si sentono meno competenti dei propri figli, e hanno meno fiducia nell’uso della tecnologia come strumento per governare e orientare l’agire tecnologico dei propri figli.

Se guardiamo alle consapevolezze della famiglia in tema di media digitali e sociali, si registra una situazione curiosamente contraddittoria: a fronte di una percezione molto forte del rischio educativo legato ai “nuovi media”, i genitori non sembrano in grado di attuare adeguati comportamenti di presidio educativo.  Quindi è difficile che una famiglia capace di fare “mediazione attiva”, ovvero che presenti un’elevata consapevolezza educativa, sia anche una famiglia in cui i livelli di controllo sono alti.
Emergono comunque due dati preoccupanti in questo panorama:
-uno relativo ad oltre il 30% di famiglie con figli minori che “non fa nessuna azione di accompagnamento alle attività sul web dei propri figli”: genitori, cioè, che essenzialmente rimangono “fuori” da questo ampio spazio di vita – digitale, ma non per questo meno “reale” -  dei propri figli.
- l’altro che i genitori si dimostrano più abili dei figli nell’uso delle tecnologie social, in rapporto all’indice di capitale culturale della famiglia, fino al 25% dei casi.
In questo intreccio di relazioni il digitale pare più un complice che un alleato, quando l’adultità non matura e rimane nella fase di  “adultescenza”.
Come affrontare quindi questa turbolenta ed incessante rivoluzione?
Davanti a questo scenario, è possibile tratteggiare alcune possibili indicazioni operative, o strategie di fronteggiamento.



La tipologia così elaborata individua sei profili (vedi figura 1 - si rimanda al capitolo curato da Pier Cesare Rivoltella):
1)    la famiglia restrittiva, caratterizzata da un livello alto di controllo (i genitori controllano le e-mail ricevute dal figlio, lo costringono a navigare in casa, verificano sul diario di navigazione quali siti abbia visitato) e da un basso livello di educazione;
2)    essa può diventare anche famiglia luddista, scegliendo per l’”opzione zero”, eliminando i media dall’universo familiare e procrastinando sine die il momento dell’acquisto del primo device ai figli;
3)    la famiglia permissiva è il caso opposto rispetto a quello della famiglia restrittiva: essa è caratterizzata da un livello basso di educazione, come la precedente, ma anche da un basso livello di controllo (i genitori lasciano fare, non si pongono il problema). 
4)    la famiglia permissiva può diventare famiglia lassista, che non vede come i media digitali e sociali rappresentino un problema educativo, lascia fare, è convinta che comunque i propri figli siano sufficientemente attrezzati per cavarsela;
5)    la famiglia affettiva controlla poco, ma presenta un alto livello di presenza educativa, di tipo “orizzontale” (non prescrittiva, quasi-amicale) che si manifesta attraverso l’aiuto costante nei confronti del figlio, la condivisione del consumo, la forte convivialità;
6)    L’ultima variante è la famiglia media-attiva, fortemente presente nel lavoro di mediazione delle pratiche mediali dei figli, ma molto più attenta (rispetto a quella affettiva) alle pratiche dei figli, soprattutto alla loro elaborazione nella direzione dell’empowerment e dello sviluppo del pensiero critico.





1.    Come affrontare questa turbolenta ed incessante rivoluzione?

Davanti a questo scenario, è possibile tratteggiare alcune possibili indicazioni operative, o strategie di fronteggiamento, senza la pretesa di fornire ricette o soluzioni a prova di bomba, ma con l’obiettivo di aiutare ogni persona ad affrontare (coping) in modo pro-positivo la sfida del cambiamento che questa rivoluzione pone a tutti.

Integrare, non sostituire:

Colorare di relazioni il mondo digitale:

La responsabilità di una libertà in azione:

Negoziare, più che proibire:

Il valore della dieta:

Per i molto piccoli: a piccole dosi, e accompagnati:

Farsi compagnia tra famiglie:

Informarsi, imparare, discernere, e soprattutto non arrendersi:




Integrare, non sostituire: un primo criterio è giocare in modo positivo l’ibridazione, considerando come una risorsa questa contaminazione di linguaggi, strumenti, ambiti relazionali. Serve quindi, prima di tutto, integrare, e non sostituire, l’esperienza faccia-a-faccia e quella digitale, non sostituirla. Il digitale, i social, la Rete, gli smartphone sono risorse preziose se potenziano e rinforzano una trama di relazioni interpersonali dirette; se invece pretendono di sostituirle, costruendo nuovi mondi solo digitali (e qui sì solo “virtuali”), allora il digitale rischia di illudere (avere tanti “amici” su Facebook non è la stessa cosa che avere tanti amici con cui andare a bere una birra!).

Colorare di relazioni il mondo digitale: altro criterio di coping positivo è riuscire a vincere il rischio dell’isolamento, dell’autoreferenzialità, dell’esclusione sociale, sia come ritiro sociale (in Giappone l’hanno chiamato “hikkikomori”), per cui per lunghi giorni non esci dalla tua stanza, resti incollato al pc, non hai altri svaghi o persone con cui parlare, quasi ti dimentichi di mangiare…, sia come “recinto chiuso” sulla Rete, per cui se sei appassionato di quel videogioco, incontrerai e conoscerai solo chi ha la stessa tua passione (eppure il mondo – ma anche la Rete – è così grande…).

La responsabilità di una libertà in azione: nelle relazioni educative genitori-figli non serve affidarsi solo a divieti o regole rigide (a volte peraltro utili e necessarie, se per esempio un figlio passa al videogioco sei ore al giorno sette giorni a settimana…). È  invece necessario pensare sempre che la vera sfida è educare la responsabilità di una libertà in azione. Gli smartphone sono in mano ai figli 24 ore su 24, non si può semplicemente spegnerli. E spesso i figli sono più saggi degli adulti (e di quanto i genitori si aspettano), di fronte a questi strumenti; a volte basta ricordare loro che sono responsabili di quello che fanno e delle sue conseguenze, anche rispetto alle altre persone (ad esempio postare su Facebook una foto buffa o imbarazzante di un tuo compagno di classe che conseguenze ha e avrà per lui? E fino a quando questa foto resterà memorizzata, accessibile a chiunque? Pensaci, prima di farlo!).

Negoziare, più che proibire: se sono la libertà e la responsabilità della persona ad essere in gioco, è quindi opportuno che la famiglia più che a regole e divieti prefissati, opti per soluzioni negoziali del problema, le più efficaci. Negoziare le regole non significa “scendere a patti” con i figli, né retrocedere rispetto a degli standard più esigenti, ma costruire con loro in maniera collaborativa un sistema di criteri che sia ritenuto adeguato – e realistico - da entrambe le parti.

Il valore della dieta: per molti stili di vita, e anche per l’esposizione al mondo digitale, un po’ di dieta fa sicuramente bene”.  Avere spazi e tempi in cui si dice con forza “adesso no!” consente infatti di capire meglio il valore e la potenza di questi strumenti. Spegnere i cellulari quando si pranza o si cena insieme (o almeno non rispondere subito agli sms) è un piccolo sacrificio, che si può chiedere anche con decisione, perché consente di far capire che “si può vivere anche senza essere connessi al web”. Ma ovviamente questo tempo “non connesso” va riempito di comunicazione, di contenuti, di relazioni,  di affetti. Deve essere più bello del videogioco… E, soprattutto, se lo si chiede ai propri figli, devono essere i genitori per primi a lasciare il cellulare spento, con rigore e coerenza: perché l’educazione in famiglia è più una questione di occhi che una questione di orecchie: i figli imparano molto di più da come vivono i genitori, da quello che fanno (e che i figli vedono), che non dalle parole (troppo spesso “prediche”) che vengono dette. E magari anche una giornata o un week end intero senza connessioni digitali potrebbe aiutare a riscoprire la bellezza dei contatti faccia-a-faccia o il valore di una gita in montagna, senza ricevere notifiche e senza obbligo di foto da postare.

Per i molto piccoli: a piccole dosi, e accompagnati: sempre in tema di dieta, un’attenzione speciale è necessaria per i bambini molto piccoli, che sono sorprendentemente capaci di muoversi negli innovativi processi intuitivi e non verbali dei nuovi strumenti, ma proprio per questo sono ancora più esposti (e fragili) a condizionamenti e a rischi rispetto ai processi di apprendimento, ai contenuti accessibili, all’estraniamento in un mondo pieno di colori, di suoni, di immagini, di promesse. Questo esige attenzione estrema sia all’uso autonomo degli schermi, sia rispetto al tempo di esposizione, sia sui contenuti da rendere accessibili.


Farsi compagnia tra famiglie: è molto importante rompere il proprio isolamento e avere l’opportunità di confrontarsi con altre famiglie. Essere in rete con altri genitori aiuta di sicuro a non sentirsi da soli di fronte alle sfide educative, aiuta a minimizzare le paure eccessive e ad inquadrare i rischi effettivi. In questo caso le potenzialità virtuose dell’ibridazione digitale sono ancora più evidenti: si può fare rete tra famiglie perché ci si incontra all’uscita di scuola, o nei giardini pubblici del quartiere, ma questa stessa rete di relazioni faccia-a-faccia può essere ulteriormente rinforzata sulla Rete digitale, con gruppi sui social. Esemplare in questo ambito l’esperienza delle social street, che connettono sul web le persone di una stessa strada o quartiere, rafforzando le comunicazioni, i legami, la circolazione delle informazioni, le possibilità di mobilitazione, ecc.

Informarsi, imparare, discernere, e soprattutto non arrendersi: ogni persona (e non solo i genitori) deve accettare queste sfide attraverso una maggiore conoscenza degli strumenti e dei fenomeni, ricercando nuove informazioni, affacciandosi anche su cosa consumano i propri figli, facendo lo sforzo di praticare gli strumenti e gli ambienti digitali che loro conoscono, usano ed abitano. Serve maggiore consapevolezza, maggiore riflessività, maggiore discernimento, inteso come capacità di giudizio nel merito. In altre parole: tocca agli adulti il compito di non arrendersi, cioè non farsi chiudere fuori dalla porta delle stanze (reali e digitali) dei propri figli. Provare a parlare, chiedere, provare a navigare insieme, e se si viene respinti, provare ancora. Il mondo della rete non è “virtuale”, è un mondo reale, e quindi bisogna abitarlo.