Con il termine adultescenza si intende lo stile di vita di chi, ormai entrato nell’età adulta continua ad avere un comportamento non “adeguato” alla propria età e al proprio ruolo, nel nostro caso al ruolo genitoriale. A parer mio, parere supportato da studi, letture pedagogiche e lavoro sul campo, l’adultescenza è una condizione che ha come origine i necessari e mancati passaggi personali dei tre livelli bio-psico-sociali. L’adolescente infatti per passare ad un’età adulta ha bisogno di armonizzare e integrare i tre livelli di trasformazione personale: quello biologico, quello psicologico e quello sociale. La mancata elaborazione e integrazione di questi tre livelli e la mancata esperienza di trasformazione individuale all’interno della propria comunità sociale, necessaria per vivere l’età adulta, nega il cambiamento e non favorisce i comportamenti adeguati e congrui all’età che si vive.
L’integrazione dell’aspetto razionale va necessariamente
coniugato con quello biologico e affettivo per vivere il passaggio in modo
consapevole e soddisfacente. Soma, psiche e polis, forniscono la materia con
cui ogni uomo costruisce la sua vita. La consapevolezza delle dinamiche
biologiche, psicologiche e sociali, costituiscono la base di ogni serio lavoro
educativo che prevede un lavoro di cooperazione in tutti i contesti e con tutte
le figure di riferimento adulte, perché la condotta umana è da leggere sempre
in funzione della persona e dell’ambiente che ci circonda. I processi di
maturazione e apprendimento danno luogo a continui mutamenti che sono il
risultato della fusione di fattori personali e fattori ambientali.
E’ evidente
che lo scenario economico, politico, sociale (famiglia, scuola, istituzioni…)
non ha facilitato né garantito un’integrazione armonica dei tre livelli, al
contrario li ha minati e osteggiati proponendo sempre stimoli fondati
sull’immediatezza del successo identificata in una fittizia soggettività e
visibilità. Visibilità che i ragazzi e gli adultescenti oggi ricercano
attraverso l’uso spasmodico di tutti i possibili media.Il loro utilizzo è
irrinunciabile perché attraverso questo le persone si sentono forti e uniche,
vivendo l’ingannevole e fuorviante realizzazione della loro creatività. L’uso
degli strumenti digitali favorisce certamente il vissuto emotivo, ma allontana
dai legami sentimentali che hanno bisogno di tempo, di cura, di amore e di
vicinanza. Ciascuno di noi ha bisogno e desiderio di incontrare l’altro per
essere riconosciuto e per riconoscerlo nella sua differenza reale, non per
costringerlo al proprio potere, cosa che spesso avviene in maniera subdola
all’interno di gruppi che interagiscono sui social.
Non è assolutamente mia
intenzione demonizzare l’uso degli strumenti tecnologici, di cui riconosco
utilità e necessità, voglio solo esprimere una visione della persona che non
può pienamente realizzarsi nella sfera dei concetti o dell’interazione
virtuale. Noi siamo e dobbiamo rimanere “persone”. La nostra” parte “ e il
nostro impegno consiste nel far risuonare la viva parola umana nel mondo che si
fa sempre più astratto. L’individuo reclama la propria soggettività e unicità,
e per realizzarla ha bisogno di scambi autentici, di figure autorevoli, di
genitori e insegnanti che lascino andare la loro adolescenza e indossino
finalmente il vestito dell’adulto, correndo il “rischio bellissimo” di essere
esempio e guida. P.M.
CASO LABORATORIO GENITORI-FIGLI
(ADULTESCENZA)
Circa un anno fa è arrivata
in consultorio, al servizio GES ( genitori oltre la separazione) una coppia di
genitori separati. La coppia è formata da Mirko, anni 45, ed Erica anni 40. La
loro richiesta, anche espressa in modo confuso, è di essere aiutati a risolvere
e gestire al meglio una situazione che si è venuta a creare con la loro figlia
Ambra di 18 anni appena compiuti.
In realtà è proprio Ambra ad
invitare i genitori a rivolgersi ad un consulente familiare perché lei stessa
da circa tre mesi sta facendo una consulenza personale.
Mirko e Ambra raccontano la
loro storia. Si sono sposati all’età di 26 anni lui e di 21 lei che aspettava già
la bambina. Il loro benessere matrimoniale è durato circa 12-13 anni, poi tutti
e due a detta di entrambi hanno cominciato a sentire “stretto” e “limitante” il
loro rapporto, soprattutto quando Erica ha raggiunto una sua autonomia
personale, trovando lavoro come educatrice in un asilo nido. La separazione che
ne è seguita non è stata eccessivamente conflittuale, anche se ci sono stati
momenti di forte tensione quando Erica ha scoperto di una breve relazione avuta
dal marito due anni prima con una sua vecchia amica. Di comune accordo hanno
deciso di mettere fine al loro rapporto di convivenza, ma altro motivo di
dissenso della moglie è stata la decisione di Ambra, di circa 12 anni, di voler
continuare a vivere con il papà nella casa della nonna paterna, dove si
sarebbero trasferiti dopo la separazione. Ambra era molto legata al papà e alla
nonna.
Questa decisione ha fatto
soffrire Erica. Tuttavia dopo vari tentativi, andati male, di convincere la
figlia a trasferirsi con lei ha lasciato che Ambra vivesse con il padre. Tutti
e due i genitori hanno rispettato per un buon periodo il provvedimento
dell’affido congiunto stabilito dal tribunale dei minori. Le cose fra alti e
bassi sono andate abbastanza bene, fino alla morte della nonna paterna avvenuta
circa tre anni dopo e della quale Ambra ha sofferto molto. La ragazza per
qualche tempo si è trasferita dalla mamma (3 mesi), per ritornare poi con il
papà al quale riconosce maggiore gioiosità e tolleranza, e dove inoltre fruisce
di un beneficio economico che le consente di vivere in maniera agiata grazie
alla piccola azienda di cui il padre è titolare.
Ambra esce spesso con le sue
amiche e non ha da parte del papà grandi restrizioni di tempo né divieti
particolari. La mamma di questo ne è al corrente ma non è d’accordo e ci sono
quindi continue liti fra i tre. Ambra contesta alla mamma che lei si è rifatta
una vita con un compagno che non le piace, trasferendosi addirittura in
un’altra cittadina allontanandosi da lei. Secondo la narrazione della coppia
l’episodio scatenante in tutti i sensi avviene in una sera di sabato quando
Ambra, da poco diciottenne, dice al padre che andrà in discoteca e chiede di
essere ripresa da questo verso le 2.30 (né lei né le sue amiche hanno la
patente). A tale richiesta il padre “s’infuria” (narrazione della mamma davanti
al padre che non nega) dicendo che alle 2.30 è troppo presto “e che tu mi vuoi
rovinare la serata con i miei amici? Ti vengo a prendere alla 5.00”. La ragazza
si impunta dicendo che le sue amiche devono andare via al massimo a quell’ora e
che nessuno le può andare a prendere. Inizia così una discussione con il padre
il quale arrabbiato le urla di chiamare la madre. Ambra chiude la discussione
in maniera brusca. La sera chiama la mamma che non le risponde al cellulare. Solo
dopo molto tempo richiama la figlia per sentire cosa voleva e, alla richiesta
di Ambra di essere ripresa in discoteca le risponde in maniera asciutta che lei
ha una festa di compleanno di una sua cara amica e non può andare a prenderla.
Ambra si arrabbia molto, chiude il telefono, e la serata finisce che lei e le
sue amiche aspettano le 5.30 del mattino, momento in cui Mirko va a prendere la
figlia in discoteca. La ragazza nei giorni seguenti è confusa e arrabbiata con
tutti e due i genitori, che a loro volta litigano fra loro rivendicando diritti
e doveri di ognuno. Dopo un periodo di tensione durato qualche mese Ambra si
trasferisce a Roma da una sua amica e inizia a lavorare in un locale. Intanto
conosce il consultorio “La famiglia” di Roma al quale si rivolge per una
consulenza, e dopo poco invita i suoi genitori ad andare anch’essi in
consulenza da un’altra consulente (credo su suggerimento della consulente della
ragazza).
I due accettano (soprattutto
con l’idea di riportare la ragazza a casa) e si presentano in consulenza con
una richiesta confusa e senza nessun obiettivo preciso da raggiungere. Vogliono
solo sapere dalla consulente chi ha ragione. Ognuno dei due nel proprio narrare
inveisce contro l’altro accusandosi reciprocamente di essere incoscienti e di
comportarsi in modo irresponsabile e poco rispettoso verso le esigenze
dell’altro, ma non parlano mai del benessere di Ambra.
IPOTESI DI
CONSULENZA (SINTESI)
Ascolto attivo – Imparare ad
ascoltarsi e capire i bisogni dell’altro
Identificare un obiettivo
comune che comprenda anche il bene di Ambra
Identificare con quale
stadio del GAB (Genitore-Adulto-Bambino) parlano e interagiscono
Capire in quale fase della
vita sono bloccati e quale livello Bio-Psico-Sociale non hanno elaborato,
superato e integrato
Lavorare su una
genitorialità positiva agita sul recupero della loro parte adulta
Invio di entrambi ad una
consulenza personale per facilitare e abbreviare i tempi di lavoro nella
consulenza di coppia
Continuare nel servizio GES
a lavorare e monitorare la loro coppia genitoriale.
CASO LABORATORIO GENITORI FIGLI
(RAFFAELLO)
Coppia si presenta al Centro di
consulenza dichiarando problemi di comunicazione.
Pietro,
39 anni, è rappresentante di una ditta dolciaria e Laura, 46, impiegata.
Hanno
due figli: Mirco di 17 anni e Monica, di 15.
Laura sostiene che Pietro si
disinteressa ai figli e non segue la loro vita, in particolare sulle chat,
ragione per cui non è informato dei loro bisogni e dei loro impegni,
scolastici, sportivi e di altro tipo.
Torna tardi dal lavoro e si chiude in
camera a giocare col pc. A laura sembra di avere 3 figli e non due.
Pietro afferma di rifugiarsi nei
giochi col pc per sgombrare la testa dopo le tensioni del lavoro, e di rimanere
lì in quanto è stanco ed esasperato dalla dipendenza da whatsapp della moglie
che è sempre connessa e in inutili chiacchiere e pettegolezzi. Ritiene che le
chat siano inutili e che montino problemi inesistenti. Secondo lui la moglie
sembra a sua volta una adolescente e chatta con le amiche della figlia e con i
genitori dei compagni di scuola del figlio in continuazione, volendo poi
commentare tutte quelle sciocchezze quando potrebbero stare in pace insieme, a
tavola, la sera, o quando uscivano (ragione per cui lui ha smesso di fare
uscite con la moglie, affermando che tanto lei stava tutto il tempo a
consultare il cellulare e gli rispondeva a mono sillabi).
Il focus che portano, come effetto dei
loro problemi comunicativi, è l’inaspettata bocciatura del figlio.
Il padre si è molto arrabbiato, la
madre, dopo una consultazione via chat con altri genitori, ha affermato di
voler fare ricorso in quanto il figlio è stato bersaglio di ingiustizie da
parte di alcuni professori.
Il padre si è detto contrario e
vorrebbe mandare il figlio a lavorare per un anno, così capisce cosa vuol dire
fare fatica e si prende le sue responsabilità
Il figlio chiede di essere sentito e
racconta piangendo che ai genitori non frega niente di lui, che pensano solo a
se stessi: papà al lavoro, allo sport e ai giochi col pc; la mamma si impiccia
troppo, ma sempre di cose sbagliate. Ha voluto che non fosse più amico di un
suo compagno in quanto lei aveva litigato con la madre del compagno via chat e
l’aveva “cancellata”. Quando sono andati in gita con la scuola la mamma è
venuta, ma sembrava più alunna lei degli alunni: rideva e scherzava con altre
due mamme e hanno fatto le sciocche tutto il tempo, senza aiutare…
Il padre risponde che lui fatica tante
ore e permette un buon tenore di vita alla famiglia, che quindi è normale che
sia stanco e che nei giochi al pc o nell’andare in palestra non vede nulla di
male, non tolgono nulla ai figli. La mamma afferma che il rispetto è importante
e che quella mamma le aveva mancato di rispetto mettendo in giro pettegolezzi
su di lei via chat e che era giusto tagliare i rapporti con tutta la famiglia.
Sulla gita dice che era un momento di svago anche per lei, non solo per i
figli, quindi era giusto che la prendesse con leggerezza e che pensasse a
divertirsi, essendo una bella occasione per stare con le due amiche (“oh, ma esisto anche io, eh! Non è che devo
annullarmi per voi!”)
RIFLESSIONI
DLE GRUPPO SUL CASO:
Possibili
aree di lavoro in consulenza e modalità di approccio