Nel
corso degli ultimi decenni si è realizzata una profonda rivoluzione
antropologica. Le tecnologie della comunicazione digitale trasformano le
relazioni fra le persone, mediandole sempre più con vere e proprie protesi tecnologiche, e con ciò
facilitano i cambiamenti di identità e di comportamento (verso il cyborg?).
Questa rivoluzione tecnologica, investendo gli individui, influisce
necessariamente anche su ciò che designiamo come famiglia. Il concetto di
famiglia, e tutti i suoi simboli (la coppia, le relazioni generazionali, le
identità sessuali), diventano le prime cavie di un crescente
disorientamento/entropia culturale. Nella famiglia di oggi il calore delle
relazioni corporee, faccia-a-faccia, si mescola sempre più con le comunicazioni
che avvengono con lo smartphone o attraverso Internet. Questo processo si sta
sviluppando con un tumultuosa rapidità, che rende estremamente complesso
l’adattamento all’innovazione da parte della generalità delle persone.
Non è
la prima volta, nella storia dell’umanità, che avvengono rivoluzioni
tecnologiche che stravolgono la vita quotidiana, l’organizzazione sociale ed
economica, lo stesso assetto politico di intere regioni del globo. […] Nei
secoli scorsi la penetrazione di queste innovazioni è stata lenta, graduale, e
permetteva un progressivo adattamento, “di generazione in generazione”,
consentendo alle persone di “imparare la novità”, all’interno dei tradizionali
processi di formazione al lavoro, ai valori, agli stili di vita, che avevano
nella trasmissione intergenerazionale e nella valorizzazione dell’esperienza un
punto di forza irrinunciabile, in famiglia, nei laboratori artigiani, nei
luoghi preposti alla formazione.
La
rivoluzione digitale ha dato invece una velocità di cambiamento mai riscontrata
prima, cambiando i tempi e le modalità di interazione sociale, le regole nelle
relazioni interpersonali, le fonti di apprendimento (e di arricchimento!), le
sfide per la politica.
Quindi
oggi dobbiamo affrontare una rivoluzione, quella digitale, che ha due speciali
caratteristiche che la rendono una sfida particolarmente complessa e nuova:
-
la
rapidità del cambiamento, anzi, dei cambiamenti, che oggi sono tutt’altro che
conclusi,
-
e la potenza con cui il digitale può
modificare – e di fatto ha già modificato – la vita quotidiana di ogni persona,
e la qualità stessa delle relazioni interpersonali, ad ogni livello, dagli
affetti primari (relazioni affettive, famiglia, amici) fine alle relazioni più
sociali, con le istituzioni (non solo avere certificati a casa propria, ma
anche poter addirittura “votare on line” per le elezioni politiche).
Le sfide del
digitale per le relazioni familiari
Si
tratta quindi di una rivoluzione che investe la famiglia in modo diretto, potente, senza vie di fuga, ed è proprio
questo il motivo che spiega il titolo del Nuovo Rapporto Cisf 2017: “Le relazioni familiari nell’era delle reti
digitali”, che si pone una domanda semplice ma decisiva: “le tecnologie
digitali di comunicazione rafforzano o indeboliscono le famiglie?”
Per
rispondere a questo interrogativo è stata realizzata un’approfondita indagine empirica (3.708 interviste su un campione statisticamente rappresentativo delle
famiglie italiane).
Le famiglie “ibride”: tra relazioni
faccia-a-faccia e connessioni digitali
Dal Rapporto Cisf 2017 emergono profonde
differenziazioni tra le famiglie italiane, e una complessiva tendenza a
mescolare i contatti diretti, faccia-a-faccia, lo stare insieme, con relazioni
e connessioni allacciate tramite i vari media e strumenti digitali, in quello
che potremmo definire un processo di “ibridazione delle relazioni familiari”.
Sembra quindi superata la dualistica contrapposizione tra “mondo reale” e
“virtuale”, e occorre invece comprendere quella che è una vera e propria nuova
“realtà delle relazioni familiari”, ormai inestricabilmente mescolate di
relazioni corporee, fisicamente tangibili in precise dimensioni di spazi e di
tempi condivisi, e di connessioni e relazioni digitali. In particolare sono
emersi quattro distinti livelli di progressiva mescolanza-ibridazione:
1) famiglie marginali e/o escluse (il 28,6% del campione);
2) famiglie mature
moderatamente in rete (13,4%):
3) famiglie più giovani decisamente in rete (23,8%):
4) single giovani e coppie di giovani (gli
“ibridati” veri e propri, 34,2%).
Questo processo non appare necessariamente
negativo. La famiglia “ibridata” non è né buona né
cattiva; anzi, dai dati dell’indagine emerge che l’ibridazione delle relazioni
interpersonali con la rete sembra avere più
effetti positivi che negativi a riguardo di quasi tutti gli indicatori della
coesione familiare, e in parte
anche rispetto alla partecipazione civica nella sfera pubblica. D’altro canto
questa ibridazione propone una forma diversa di relazionalità, che non sempre
rafforza i legami tra i membri della famiglia. In effetti essere costantemente connessi non sempre significa “essere
in relazione”. Non serve quindi schierarsi nell’ennesimo scontro tra
tradizionalisti e innovatori, o tra apocalittici ed integrati, quanto piuttosto
riconoscere le potenzialità, leggere le diverse traiettorie dei diversi gruppi
sociali e delle diverse famiglie, e discernere con attenzione rischi e possibilità.
La sfida educativa del digitale
in famiglia
Anche le strategie educative nei confronti dei
figli sono molto differenziate, e tratteggiano una responsabilità genitoriale
molto eclettica e flessibile, che naviga a vista, e di volta in volta può
orientarsi al concedere ampi spazi di libertà, oppure supervisionare con
discrezione, tentando di porre qualche limite. Gli interventi limitativi però
sono meno frequenti, probabilmente a causa di modelli educativi genitoriali più
permissivi, e insieme perché i genitori si sentono meno competenti dei propri
figli, e hanno meno fiducia nell’uso della tecnologia come strumento per
governare e orientare l’agire tecnologico dei propri figli.
Se guardiamo alle consapevolezze della
famiglia in tema di media digitali e sociali, si registra una situazione
curiosamente contraddittoria: a fronte di una percezione molto forte del
rischio educativo legato ai “nuovi media”, i genitori non sembrano in grado di
attuare adeguati comportamenti di presidio educativo. Quindi è difficile che una famiglia capace di
fare “mediazione attiva”, ovvero che presenti un’elevata consapevolezza
educativa, sia anche una famiglia in cui i livelli di controllo sono alti.
Emergono comunque due dati preoccupanti in
questo panorama:
-uno relativo ad oltre il 30% di famiglie con
figli minori che “non fa nessuna azione di accompagnamento alle attività sul
web dei propri figli”: genitori, cioè, che essenzialmente rimangono “fuori” da
questo ampio spazio di vita – digitale, ma non per questo meno “reale” - dei propri figli.
- l’altro che i genitori si dimostrano più
abili dei figli nell’uso delle tecnologie social, in rapporto all’indice di
capitale culturale della famiglia, fino al 25% dei casi.
In questo intreccio di relazioni il digitale
pare più un complice che un alleato, quando l’adultità non matura e rimane
nella fase di “adultescenza”.
Come
affrontare quindi questa turbolenta ed incessante rivoluzione?
Davanti a questo scenario, è possibile tratteggiare
alcune possibili indicazioni operative, o strategie di fronteggiamento.
La tipologia così elaborata individua sei profili (vedi
figura 1 - si rimanda al capitolo curato da Pier Cesare Rivoltella):
1)
la famiglia
restrittiva, caratterizzata da un livello alto di controllo (i genitori
controllano le e-mail ricevute dal figlio, lo costringono a navigare in casa,
verificano sul diario di navigazione quali siti abbia visitato) e da un basso
livello di educazione;
2)
essa può diventare anche famiglia luddista, scegliendo per l’”opzione zero”, eliminando i media
dall’universo familiare e procrastinando sine
die il momento dell’acquisto del primo device ai figli;
3)
la famiglia permissiva
è il caso opposto rispetto a quello della famiglia restrittiva: essa è
caratterizzata da un livello basso di educazione, come la precedente, ma anche
da un basso livello di controllo (i genitori lasciano fare, non si pongono il
problema).
4)
la famiglia permissiva può diventare famiglia lassista, che non vede come i media digitali e sociali rappresentino un
problema educativo, lascia fare, è convinta che comunque i propri figli siano
sufficientemente attrezzati per cavarsela;
5)
la famiglia affettiva
controlla poco, ma presenta un alto livello di presenza educativa, di tipo
“orizzontale” (non prescrittiva, quasi-amicale) che si manifesta attraverso
l’aiuto costante nei confronti del figlio, la condivisione del consumo, la
forte convivialità;
6)
L’ultima variante è la famiglia media-attiva,
fortemente presente nel lavoro di mediazione delle pratiche mediali dei figli,
ma molto più attenta (rispetto a quella affettiva) alle pratiche dei figli,
soprattutto alla loro elaborazione nella direzione dell’empowerment e
dello sviluppo del pensiero critico.
1.
Come affrontare questa turbolenta ed incessante
rivoluzione?
Davanti a questo scenario, è possibile tratteggiare
alcune possibili indicazioni operative, o strategie di fronteggiamento, senza
la pretesa di fornire ricette o soluzioni a prova di bomba, ma con l’obiettivo
di aiutare ogni persona ad affrontare (coping)
in modo pro-positivo la sfida del cambiamento che questa rivoluzione pone a
tutti.
Integrare, non sostituire:
Colorare di relazioni il mondo digitale:
La responsabilità di una libertà in azione:
Negoziare, più che proibire:
Il valore della dieta:
Per i molto piccoli: a piccole dosi, e accompagnati:
Farsi compagnia tra famiglie:
Informarsi, imparare, discernere, e soprattutto non arrendersi:
Integrare, non sostituire:
un primo criterio è giocare in modo positivo l’ibridazione, considerando come
una risorsa questa contaminazione di linguaggi, strumenti, ambiti relazionali.
Serve quindi, prima di tutto, integrare, e non sostituire, l’esperienza
faccia-a-faccia e quella digitale, non sostituirla. Il digitale, i social, la
Rete, gli smartphone sono risorse preziose se potenziano e rinforzano una trama
di relazioni interpersonali dirette; se invece pretendono di sostituirle,
costruendo nuovi mondi solo digitali (e qui sì solo “virtuali”), allora il
digitale rischia di illudere (avere tanti “amici” su Facebook non è la stessa
cosa che avere tanti amici con cui andare a bere una birra!).
Colorare di relazioni il mondo digitale:
altro criterio di coping positivo è
riuscire a vincere il rischio dell’isolamento, dell’autoreferenzialità,
dell’esclusione sociale, sia come ritiro sociale (in Giappone l’hanno chiamato
“hikkikomori”), per cui per lunghi giorni non esci dalla tua stanza, resti
incollato al pc, non hai altri svaghi o persone con cui parlare, quasi ti
dimentichi di mangiare…, sia come “recinto chiuso” sulla Rete, per cui se sei
appassionato di quel videogioco, incontrerai e conoscerai solo chi ha la stessa
tua passione (eppure il mondo – ma anche la Rete – è così grande…).
La responsabilità di una libertà in azione:
nelle relazioni educative genitori-figli non serve affidarsi solo a divieti o
regole rigide (a volte peraltro utili e necessarie, se per esempio un figlio
passa al videogioco sei ore al giorno sette giorni a settimana…). È invece necessario pensare sempre che la vera
sfida è educare la responsabilità di una libertà in azione. Gli smartphone sono
in mano ai figli 24 ore su 24, non si può semplicemente spegnerli. E spesso i figli
sono più saggi degli adulti (e di quanto i genitori si aspettano), di fronte a
questi strumenti; a volte basta ricordare loro che sono responsabili di quello
che fanno e delle sue conseguenze, anche rispetto alle altre persone (ad esempio postare su Facebook una foto
buffa o imbarazzante di un tuo compagno di classe che conseguenze ha e avrà per
lui? E fino a quando questa foto resterà memorizzata, accessibile a chiunque? Pensaci,
prima di farlo!).
Negoziare, più che proibire:
se sono la libertà e la responsabilità della persona ad essere in gioco, è
quindi opportuno che la famiglia più che a regole e divieti prefissati, opti
per soluzioni negoziali del problema, le più efficaci. Negoziare le regole non
significa “scendere a patti” con i figli, né retrocedere rispetto a degli
standard più esigenti, ma costruire con loro in maniera collaborativa un
sistema di criteri che sia ritenuto adeguato – e realistico - da entrambe le
parti.
Il valore della dieta: per molti stili di vita, e anche per l’esposizione al mondo
digitale, “un po’ di dieta fa sicuramente bene”. Avere spazi e tempi in cui si dice con forza
“adesso no!” consente infatti di capire meglio il valore e la potenza di questi
strumenti. Spegnere i cellulari quando si pranza o si cena insieme (o almeno
non rispondere subito agli sms) è un piccolo sacrificio, che si può chiedere
anche con decisione, perché consente di far capire che “si può vivere anche
senza essere connessi al web”. Ma ovviamente questo tempo “non connesso” va
riempito di comunicazione, di contenuti, di relazioni, di affetti. Deve essere più bello del
videogioco… E, soprattutto, se lo si chiede ai propri figli, devono essere i
genitori per primi a lasciare il cellulare spento, con rigore e coerenza:
perché l’educazione in famiglia è più una questione di occhi che una questione
di orecchie: i figli imparano molto di più da come vivono i genitori, da quello
che fanno (e che i figli vedono), che non dalle parole (troppo spesso
“prediche”) che vengono dette. E magari anche una giornata o un week end intero
senza connessioni digitali potrebbe aiutare a riscoprire la bellezza dei
contatti faccia-a-faccia o il valore di una gita in montagna, senza ricevere
notifiche e senza obbligo di foto da postare.
Per i molto piccoli: a piccole dosi, e accompagnati: sempre in tema di dieta, un’attenzione speciale è necessaria per i bambini
molto piccoli, che sono sorprendentemente capaci di muoversi negli innovativi processi
intuitivi e non verbali dei nuovi strumenti, ma proprio per questo sono ancora
più esposti (e fragili) a condizionamenti e a rischi rispetto ai processi di
apprendimento, ai contenuti accessibili, all’estraniamento in un mondo pieno di
colori, di suoni, di immagini, di promesse. Questo esige attenzione estrema sia
all’uso autonomo degli schermi, sia rispetto al tempo di esposizione, sia sui
contenuti da rendere accessibili.
Farsi compagnia tra famiglie: è molto importante rompere
il proprio isolamento e avere l’opportunità di confrontarsi con altre famiglie.
Essere in rete con altri genitori aiuta di sicuro a non sentirsi da soli di
fronte alle sfide educative, aiuta a minimizzare le paure eccessive e ad
inquadrare i rischi effettivi. In questo caso le potenzialità virtuose
dell’ibridazione digitale sono ancora più evidenti: si può fare rete tra
famiglie perché ci si incontra all’uscita di scuola, o nei giardini pubblici
del quartiere, ma questa stessa rete di relazioni faccia-a-faccia può essere
ulteriormente rinforzata sulla Rete digitale, con gruppi sui social. Esemplare
in questo ambito l’esperienza delle social
street, che connettono sul web le persone di una stessa strada o quartiere,
rafforzando le comunicazioni, i legami, la circolazione delle informazioni, le
possibilità di mobilitazione, ecc.
Informarsi, imparare, discernere, e soprattutto non arrendersi: ogni persona (e non solo i
genitori) deve accettare queste sfide attraverso una maggiore conoscenza degli
strumenti e dei fenomeni, ricercando nuove informazioni, affacciandosi anche su
cosa
consumano i propri figli, facendo lo sforzo di praticare gli strumenti e gli ambienti
digitali che loro conoscono, usano ed abitano. Serve maggiore consapevolezza,
maggiore riflessività, maggiore discernimento, inteso come capacità di giudizio
nel merito. In altre parole: tocca agli adulti il compito di non arrendersi, cioè
non farsi chiudere fuori dalla porta delle stanze (reali e digitali) dei propri
figli. Provare a parlare, chiedere, provare a navigare insieme, e se si viene
respinti, provare ancora. Il mondo della rete non è “virtuale”, è un mondo
reale, e quindi bisogna abitarlo.